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LA TARANTELLA IN CALABRIA

Diversificate
risultano pertanto anche le stesse origini dei vari tipi di tarantella.
La più
giovane e la "napoletana"; di chiare origini settecentesche e
derivata da danze medievali italiane. È una "danza latina" e
risulta la più aderente a canoni artistici e spettacolari.
La più
antica e quella che discende dal fenomeno del tarantismo. È incontrollata
nell'espressione e le sue radici affondano senz'altro nel mondo
mediterraneo ed africano.
Una
terza ancora--che a parere di chi scrive comprende anche la "viddhaneddha"
o comunque tutte le forme di tarantella danzata a coppie singole -- ha
un'attribuzione lontana nel tempo e forse parallela a quella determinata
dal tarantismo, ma da questa si differenzia per la ricerca costante di
rituali simbolici dall'alto contenuto culturale.
Per
riconoscerne l'appartenenza ad uno dei tre filoni bisogna fare quindi
delle distinzioni di base.
La
tarantella "corale", quella dei gruppi folcloristici per
intenderci, si riallaccia presumibilmente ai canoni napoletani nel senso
musicale e coreografico, con l'inserimento frequente di momenti
interpretativi affidati all'estro ed alle esigenze di spettacolo. Il più
delle volte si può parlare di arte e non di folklore.
La
tarantella a coppie singole invece, o meglio, le differenti versioni di
tarantella che si rifanno alla tradizione calabrese si ricollegano ad
espressioni artistiche originate dalla più pura scuola della ‘danza
greca’. Anche il momento del tarantismo-- tranne alcune manifestazioni
ancora presenti nella media ed alta Calabria jonica--si ritiene venga
superato.
Questa
presunzione di nobiltà si evidenzia maggiormente con l'analisi delle
caratteristiche della “viddhaneddha”, la versione reggina quale
classica esemplificazione della tradizionale tarantella calabrese. Giova
intanto dire che essa viene in genere, danzata singolarmente a coppie e
non in forma collettiva. Inoltre la coppia può essere "mista" (uomodonna)
oppure "omogenea" (uomouomo). Sia nell'uno che nell'altro caso
è una danza che, pur lasciando una certa libertà interpretativa--priva
di codificazioni-- comporta tutta una serie di rituali e di simboliche
raffigurazioni che le conferiscono aspetti culturali di tutto rilievo.
Un'attenta
analisi dei passi e dei comportamenti mimici dei ballerini ipotizza
chiaramente l'origine greca e non latina della "viddhaneddha".
La "danza latina" (da cui discendono indirettamente il trescone,
il saltarello, la tarantella napoletana, come si e già detto) è innanzi
tutto una "danza aerea", nel senso che nella sua manifestazione
si presuppone un'esuberanza pantomimica di sicura derivazione popolare con
frequenti concessioni a passi acrobatici (il salto quale espressione di
gioia e di elevazione, la piroetta ad asse verticale come momento di
abilita esibizionistica). In questo caso la danza denota la decisa
tendenza a dinamicizzare la composizione coreografica su una dialettica di
forze risultante dalla messa in valore delle energie naturali del corpo
umano. Non a caso si nota nel danzatore l'assenza di una posizione
baricentrica: le braccia e la testa del ballerino sono univocamente
coinvolte con le gambe nel movimento dinamico.
La
("danza greca" è invece una "danza di terra", più
vicina ai canoni primari della "danza accademica" che non a
quelli della "danza libera".
I
movimenti del ballerino sono perlopiù ispirati da esigenze mimiche e
maggiormente inclini alla libertà gestuale. Il danzatore ha un ideale
baricentro alla cintura che sembra separare il corpo in due sezioni tra
loro indipendenti nella dinamica. La posizione delle gambe sono
combinabili a piacere con quella delle braccia, con costante
presupposizione però della stazione eretta del corpo. Cioè, la testa
deve stare sullo stesso asse verticale delle gambe. Il ventre deve,
nell'azione della danza, essere rientrato con conseguente sollevamento del
diaframma. L'espressione del movimento obbedisce quasi al gioco
sistole-diastole, tensione-distensione, contrazione-espansione,
caduta-ripresa dell'equilibrio.
Non sono
accettati movimenti ed atteggiamenti predeterminati, codificati,
tramandabili come vocaboli. Non vi è qualificabilità al di fuori della
sua forza espressiva nella quale nasce e muore. Dalla definizione di
questi principi scaturisce la radice greca, e quindi arcaica, della
tarantella calabrese classica. La brevità dei passi, anche quando
indulgono alla velocità, e la quasi immobilità del tronco superiore,
sono anche caratteristiche del "ballu sarda" e del greco "sirtaki",
anche essi di origine mediterranea orientale.
Le
occasioni di ballo erano svariate: dalla festività religiosa a quelle
familiari (nascita, fidanzamento, matrimonio) a quelle agresti in
coincidenza con determinate evenienze (vendemmie, trebbiature, tosature
delle pecore, etc.).
Anche
gli strumenti si rifanno alla tradizione greca: il filo melodico e
affidato all'organetto, che sostituisce ormai quasi sempre la "ciarameddha"
(zampogna), a sua volta derivata dall'antico aulos (flauto) o diaulos
(flauto a due canne) degli italioti. La scansione ritmica e assicurata dal
tamburello, originato dal tympanon dalla chitarra (non frequente), dallo
"'zzarinu" (acciarino = triangolo di ferro percorso da una
bacchetta metallica) dalla "scartagnetta" o
"castagnetta" (vale a dire dallo scrocchio delle dita), ad
imitazione degli ellenici crotali, oppure dal battito delle mani del
ballerino. In talune tarantelle dell'alta e media Calabria si usa ancora
una grancassa percossa con un grosso mazzuolo ricurvo.
Nella
tarantella calabrese, in genere, vi è l'assenza del canto, al contrario
delle altre (sicula e campana). Talvolta la musica viene accompagnata da
brevi strofe allusive agli astanti o di incoraggiamento (specie nelle
tarantelle a coppie miste), ma quasi normalmente l'unico suono emesso dai
ballerini o dai suonatori è uno spagnolesco "ayay" più o meno
prolungato o ripetuto che sottolinea la difficoltà o la sottigliezza di
alcune figurazioni attirando l'attenzione degli astanti e stimolando la
bravura dei ballerini. |